Cinque cose da sapere sull’omogenitorialità
1. Gli atti di nascita con due madri, formati all’estero, sono trascrivibili in Italia
La Corte di Cassazione ha stabilito che possono essere trascritti in Italia i certificati di nascita esteri recanti l’indicazione di due madri, escludendo ogni contrasto della normativa straniera con i principi fondamentali della Costituzione (Cass. 19599/16 e 14878/17).
Secondo la Cassazione, nel nostro ordinamento non esiste alcun divieto costituzionale per le coppie dello stesso sesso di accogliere e di generare figli.
Non esistono certezze scientifiche, dati di esperienza o indicazioni di specifiche ripercussioni negative sul piano educativo e della crescita del minore derivanti dall’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale, sempre secondo la Cassazione.
Ritenere che la relazione tra i due adulti, coppia di persone dello stesso sesso, sia potenzialmente contrastante con l’interesse del minore, è contrario al principio di non discriminazione sancito dalla Corte europea dei diritti umani (App. Perugia, decr. 22 agosto 2018).
Nel caso però di doppia paternità, laddove i figli siano nati a seguito di gestazione per altri (maternità surrogata), questa opzione non sembra al momento più esercitabile, in seguito ad una sentenza a sezioni unite della Cassazione del 2019 (vedi l’articolo L’atto di nascita con doppia paternità, formato all’estero in caso di GPA).
2. Il rifiuto di formare in Italia l’atto di nascita con due madri è illegittimo – fino a quando?
L’ordinamento giuridico italiano riconosce sia la genitorialità biologica sia quella sociale.
Lo status di figlio, dunque, può fondarsi tanto su una relazione genetica, quanto su una relazione legale, sulla base del principio della responsabilità genitoriale che si fonda sulla consapevole decisione di allevare e accudire la prole, nel progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico (Corte App. Trento, ord. 23 febbraio 2017; Trib. di Livorno, decr. 12 dicembre 2017).
La responsabilità genitoriale può essere manifestata, ad esempio, tramite il consenso dato alla fecondazione eterologa.
La bigenitorialità, infatti, è un vero e proprio diritto del nato, a prescindere dal sesso dei due genitori, e può essere esclusa solo se nel caso concreto sia contraria all’interesse del bambino.
E’ dunque non solo possibile, ma anche doveroso per l’Ufficiale di stato civile formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori due donne (Trib. di Bologna, decr. 6 luglio 2018).
Anche il Tribunale di Pistoia (decr. 5 luglio 2018) ha adottato decisione analoga, affermando che “il figlio voluto dalla coppia omosessuale attraverso il ricorso alla PMA deve trovare, dunque, tutela anche sotto il profilo giuridico, venendo in gioco tutta una serie di interessi che, per la sola ragione di essere amato e cresciuto di fatto dalla coppia di donne, non sono comunque assicurati se non attraverso il formale riconoscimento dell’essere figlio delle due mamme che lo hanno desiderato; riconoscimento che comporta, altresì, l’attribuzione di diritti successori, di diritti patrimoniali quale quello al mantenimento ex art. 316 bis c.c. e di tutele che altrimenti sarebbero attribuite in modo incompleto nel caso di riconoscimento della genitorialità in capo alla sola madre partoriente”.
Il consenso prestato alla fecondazione eterologa, ai sensi dell’art. 6 della Legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, secondo il Tribunale “rappresenta l’assunzione consapevole ed irrevocabile della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i componenti della coppia e costituisce il fulcro del riconoscimento dello stato giuridico del nato e del concetto di genitorialità legale, come contrapposta alla genitorialità biologica”.
Pertanto, lo status filiationis è regolarmente costituito nei confronti di entrambe le donne che compongono la coppia tutte le volte in cui sia stata utilizzata una tecnica di PMA anche se in carenza dei requisiti oggettivi e soggettivi fissati dalla normativa interna.
I tribunali di merito hanno quindi ritenuto che il concetto di coppia di cui alla L. 40/2004 deve essere oggi inteso in senso lato, comprensivo anche della coppia omosessuale; pur in presenza di fecondazioni eterologhe vietate in Italia ma praticate all’estero (ovvero quelle tra coppie samesex), si afferma che “il principio di tutela del superiore interesse del minore impone di riconoscere allo stesso le due madri che hanno manifestato il consenso pieno e consapevole di cui all’art. 6 – o meglio nelle forme previste dallo Stato in cui è praticata la PMA, sempre che assicurino garanzie analoghe a quelle di cui all’art. 6, con riferimento alla piena e irretrattabile assunzione di responsabilità da parte della coppia”.
Purtroppo però si registra una sentenza di segno opposto della Corte di Cassazione; la prima sezione civile, con sentenza 3 aprile 2020, n. 7668, ha rigettato il ricorso di due madri contro un decreto della Corte d’Appello di Venezia che aveva sostanzialmente salvato il rifiuto dell’Ufficiale di stato civile di ricevere la dichiarazione congiunta di riconoscimento, da parte di entrambe le madri, della bambina nata da fecondazione assistita praticata all’estero.
La Suprema Corte ritiene che i provvedimenti impugnati abbiano fatto corretta applicazione del divieto per le coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, cui possono accedere solo le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi.
Secondo la sentenza della prima sezione, tale divieto è desumibile da svariate norme che, tutte assieme, “postulano che una sola persona abbia diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato”.
Il divieto “è attualmente vigente all’interno dell’ordinamento italiano e, dunque, applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa”.
La Corte Suprema si appoggia anche a una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 221 del 2019, che ha giudicato questo divieto non contrario a Costituzione.
3. L’adozione da parte del partner genitore per intenzione, ovvero la stepchild adoption
Tecnicamente, questa sarebbe la situazione delle famiglie ricostituite: è di solito il caso di chi abbia posto fine ad una precedente relazione familiare da cui sia nato un figlio e, dopo la separazione, si sia risposato o abbia dato avvio ad una nuova relazione con un nuovo partner.
Laddove la nuova vita familiare presenti caratteri di continuità e stabilità, la legge consente al nuovo partner, che abbia assunto di fatto una responsabilità genitoriale nei confronti del figlio del partner, di chiedere una forma di adozione, cosiddetta non legittimante.
E’ non legittimante perché non interrompe il vincolo di filiazione con l’altro genitore biologico del figlio (ovvero il primo partner da cui ci si è separati), bensì mira a instaurare giuridicamente una forma di responsabilità genitoriale tra il figlio e il nuovo partner di uno dei due genitori.
In Italia è prevista dall’art. 44 della legge 184 del 1983, in particolare dal caso previsto alla lettera b), che consente l’adozione non legittimante solamente al (nuovo) coniuge.
Purtroppo, le coppie di persone dello stesso sesso non possono avvalersi di questa possibilità, neanche laddove abbiano contratto un’unione civile, proprio perché non sono sposate. In alcuni casi si sono però appoggiate alla lettera d) dell’art. 44, che ammette l’adozione in caso di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, ovvero quando il bambino non versi affatto in uno stato di abbandono.
Ricapitolando, il partner dello stesso sesso di una persona che sia già genitore, o perché ha figli da una precedente relazione o perché, nel caso di due co-madri, abbia fatto ricorso alla procreazione assistita eterologa all’estero (visto che in Italia è vietata per le coppie omosessuali), può chiedere l’adozione non legittimante ai sensi dell’art. 44, lett. D) della legge 184/1983 .
Tale possibilità è stata confermata, per esempio, dalla Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 145/2018 e dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12962/2016, ove si stabilisce che “la norma può trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso”.
4. Il riconoscimento di adozioni estere da parte di due co-madri è (per ora) legittimo
Secondo la Corte d’Appello di Napoli (ordinanza del 30 marzo 2016) non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra persone coniugate e i rispettivi figli riconosciuti dei coniugi, anche dello stesso sesso.
Va valutato in concreto che il riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue le figure genitoriali (in questo caso due madri) e al mantenimento delle positive relazioni affettive ed educative che con loro si sono consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e dei provvedimenti di adozione.
La Corte, pertanto, riconosce ad ogni effetto le adozioni, piene e legittimanti, pronunciate con due sentenze francesi, e ordina all’ufficiale di stato civile del Comune sia la trascrizione delle sentenze sia la rettificazione dei cognomi dei minori.
Per quanto concerne il riconoscimento in Italia di un provvedimento di adozione estera, pronunciato a New York a favore di due padri, anche la Corte d’Appello di Milano (ordinanza del 9 giugno 2017) ha ritenuto di non rinvenire alcun elemento di contrarietà all’ordine pubblico, ordinando al Comune di trascrivere il provvedimento di adozione affinché possa produrre i suoi effetti anche in Italia.
Tuttavia, l’ordinanza è stata impugnata davanti alla Cassazione e la prima sezione, con ordinanza 29071 del 2019 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione se l’adozione straniera di un minore da parte di una coppia di due padri sia contraria o meno all’ordine pubblico.
5. L’atto di nascita formato all’estero in caso di GPA è trascrivibile in Italia?
Questa è l’ipotesi più controversa, che riguarda solitamente il caso di doppia paternità laddove due compagni di vita abbiano fatto ricorso alla cosiddetta gestazione per altri (GPA) o maternità surrogata.
Ci sono stati negli ultimi anni svariati casi in cui il genitore per intenzione (ovvero il compagno del padre genetico) chiedeva in Italia di trascrivere o comunque riconoscere l’atto o provvedimento straniero che lo indica come (co)padre.
Fino al 2019, vari tribunali avevano ammesso questa possibilità. Per esempio, secondo il Tribunale di Roma (sezione prima, decreto dell’11 maggio 2018), l’interesse preminente dei minori appare quello di conservare il legittimo status di figli di entrambi i ricorrenti riconosciutogli dal valido atto di stato civile statunitense.
Pertanto, si è affermato che il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile italiano di un atto straniero, validamente formato all’estero – nel quale risulti la nascita di un figlio da due uomini nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel paese – non contrastano con l’ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie sul territorio italiano.
Il principio più rilevante, di rilevanza costituzionale primaria, è quello dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all’estero.
Ne consegue che, sempre secondo il Tribunale, il mancato riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione, pur legalmente esistente negli Stati Uniti, determinerebbe un’inammissibile incertezza giuridica suscettibile di influire negativamente sulla definizione dell’identità personale dei minori.
Ciò anche in considerazione delle numerose conseguenze pregiudizievoli per gli stessi (tra cui l’assenza di diritti ereditari e l’impossibilità di essere rappresentato dal genitore nei rapporti con le istituzioni italiane, al pari dei coetanei) e si violerebbe del resto il loro interesse ad avere due genitori e non uno solo, in contrasto con la regola posta nell’art. 24, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo il quale “il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo quando ciò sia contrario al suo interesse”.
Prendendo a riferimento alcune recenti modifiche legislative (tra cui la L. 8 febbraio 2006, n. 54, sull’affidamento condiviso, e il d. lgs. n. 154 del 2013), appare inconfutabile che” l’unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale ove la persona “svolge la sua personalità” e che la scelta dei componenti della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce “espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” delle persone, riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost.”.
Pertanto non esiste, a livello costituzionale, un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e anche di generare figli; del resto, che le coppie di persone dello stesso sesso ben possano adeguatamente accogliere figli e accudirli, è ora confermato dalla possibilità di adottarli, a norma della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, comma 1, lett. d, come stabilito da Cass. n. 12962 del 2016.
Il Tribunale riconosce che ormai la famiglia è “sempre più intesa come comunità di affetti, incentrata sui rapporti concreti che si instaurano tra i suoi componenti e sulla necessità che ne consegue di tutelare il prevalente interesse dei minori; non sembra apparire necessaria la presenza di vincoli genetici ai fini del riconoscimento della filiazione, dovendosi escludere, come si legge nella menzionata decisione della Suprema Corte, “che nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialità esclusivamente fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato”, dovendo al contrario essere evidenziata l’importanza assunta a livello normativo dal concetto di responsabilità genitoriale che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed accudire il nato”.
Infine, al riconoscimento dell’efficacia di un atto di nascita straniero – formato validamente negli Stati Uniti, da cui risulti che i minori sono figli di due uomini, nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato da una coppia coniugata in quel paese – non è opponibile un principio di ordine pubblico consistente nella pretesa esistenza di un vincolo o divieto costituzionale che precluderebbe alle coppie dello stesso sesso di accogliere e generare figli, venendo invece in rilievo il preminente interesse del minore all’identità personale e ad una piena genitorialità, nonché la fondamentale e generale libertà della persona di autodeterminarsi e di formare una famiglia a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalla legge alle coppie di persone di sesso diverso.
La giurisprudenza di merito in materia ha visto accumularsi vari precedenti: Corte di Appello Torino del 29.10.2014; Tribunale di Pisa del 22.7.2016; Tribunale di Napoli del 6.12.2016; Corte di Appello di Milano del 28.12.2016; Corte di Appello di Trento del 23.2.2017; Tribunale di Livorno del 12.12.2017; Tribunale di Pescara del 31.1.2018; Tribunale di Perugia del 26.3.2018; Corte di Appello di Venezia, del 16.07.2018.
Tuttavia, nel 2019 è intervenuta la Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite (n. 12193/2019) ha posto alcuni limiti molto forti a questi orientamenti più largheggianti, negando il riconoscimento del rapporto di filiazione stabilito all’estero in un caso di gestazione per altri, in assenza di un legame biologico (vedi gli approfondimenti qui).
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